Ricorso  della  Regione  Umbria,  in persona del presidente della
giunta  regionale  pro  tempore,  giusta decreto del presidente della
giunta n.  365 del 17 gennaio 2003 (all. 1), rappresentata e difesa -
come  da  mandato  a  margine  del  presente  atto  - dall'avv. prof.
Giandomenico  Falcon  di  Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con
domicilio  eletto  in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv. Manzi, via
Confalonieri, 5;
    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, come convertito dalla
legge   22   novembre   2002,   n. 266,  conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del decreto-legge 25 settembre 2002, n.  210, recante
disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di
rapporti  di  lavoro  a  tempo  parziale,  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale  -  serie  generale  -  n. 275  del  23  novembre 2002, per
violazione:
        dell'art. 117,  commi  3 e 4, e dell'art. 118, comma 2, della
Costituzione;
        del  principio  di leale collaborazione e dell'art. 2, d.lgs.
n. 281/1997, per i profili e nei modi di seguito illustrati.

                                Fatto

    L'art. 1,  comma  2, del qui impugnato decreto-legge 25 settembre
2002,  n. 210,  convertito  con  legge  22  novembre 2002, n. 266, ha
sostituito  l'art. 1-bis  della legge 18 ottobre 2001, n. 383, con un
nuovo  art. 1-bis,  disciplinante  la  c.d,  procedura  di "emersione
progressiva" del lavoro sommerso.
    Secondo tale disposizione, gli imprenditori possono presentare un
"piano  individuale di emersione" al fine di adeguarsi "agli obblighi
previsti  dalla  normativa  vigente  per  l'esercizio dell'attivita',
relativamente  a  materie  diverse  da quella fiscale e retributiva",
nonche' "agli obblighi previsti dai contratti collettivi nazionali di
lavoro  in  materia di trattamento economico" (comma 2, lett. a e b).
Il  piano  (che  deve  indicare  "il  numero  e  la remunerazione dei
lavoratori  che  si intende regolarizzare": lett. c) va presentato al
Comitato per il lavoro e l'emersione del sommerso (CLES), composto di
16  membri  otto dei quali sono designati da otto diversi organismi e
soggetti pubblici (Ministero lavoro, Ministero ambiente, INPS, INAIL,
ASL,  comune, regione, prefettura) e otto dai sindacati dei datori di
lavoro  e  dei prestatori di lavoro. Tutti i membri sono nominati dal
prefetto.
    I  CLES  sono istituiti presso ciascuna direzione provinciale del
lavoro, chiamata a svolgere le funzioni di segreteria. Sia consentito
osservare,  senza peraltro che la cosa risulti rilevante dal punto di
vista  del rapporto tra lo Stato e le regioni, che secondo l'art. 47,
comma 2, del d.lgs. n. 300 del 1999 i compiti degli uffici periferici
gia'  del  Ministero  del  lavoro  dovrebbero  essere confluiti negli
uffici territoriali del Governo.
    I CLES cosi' costituiti hanno il compito di "valutare le proposte
di  progressivo  adeguamento agli obblighi di legge diversi da quelli
fiscali  e  previdenziali formulando eventuali proposte di modifica",
di  "valutare  la  fattibiita'  tecnica  dei  contenuti  del piano di
emersione",  di  "definire,  nel  rispetto  degli  obblighi di legge,
temporanee   modalita'   di   adeguamento  per  ciascuna  materia  da
regolarizzare",  infine  di  "verificare  la conformita' del piano di
emersione ai minimi contrattuali contenuti negli accordi sindacali di
cui al comma 2" (comma 5).
    Se  le  "proposte  per il progressivo adeguamento ... coinvolgono
interessi  urbanistici  e  ambientali,  il CLES sottopone il piano al
parere del comune competente" il quale esprime un "parere vincolante"
(comma 5-bis).
    In  base  al  comma  8 poi, il CLES ha il compito di approvare il
piano  individuale  di  emersione  "nell'ambito  delle linee generali
definite dal CIPE"; e nell'esercizio di tale competenza ha ovviamente
il  potere  di  respingere  il piano o di concordare modifiche che ne
consentano   l'approvazione   (comma  9).  L'approvazione  "comporta,
esclusivamente  per  le  violazioni  oggetto  di regolarizzazione, la
sospensione,    gia'    nel    corso   dell'istruttoria   finalizzata
all'approvazione del piano stesso, di eventuali ispezioni e verifiche
da  parte  degli  organi  di  controllo e vigilanza nei confronti del
datore di lavora che ha presentato il piano" (comma 15).
    Infine,  si  prevede  (comma  10)  che  "le autorita' competenti,
previa  verifica  della  avvenuta attuazione del piano, rilasciano le
relative autorizzazioni entro sessanta giorni" e che "l'adeguamento o
la  regolarizzalione  si  considerano,  a  tutti  gli  effetti,  come
avvenuti   tempestivamente   e  determinano  l'estinzione  dei  reati
contravvenzionali  e  delle  sanzioni  connesse  alla  violazione dei
predetti obblighi".
    Come si vede, la disciplina in questione interviene nelle materie
di competenza della regione. Poiche' la regolarizzazione riguarda gli
"obblighi   previsti   dalla   normativa   vigente   per  l'esercizio
dell'attivita',  relativamente  a materie diverse da quella fiscale e
retributiva",  senz'altro  la  legge  in  oggetto  "tocca" le materie
dell'urbanistica,  dell'ambiente  e dell'igiene e sanita' (del resto,
che   l'art. 1-bis   legge   n. 383/2001   riguardi  l'urbanistica  e
l'ambiente  e' espressamente confermato dal comma 5-bis, che menziona
appunto tali materie).
    In  tutte  queste  la Regione Umbria ha competenza legslativa, in
virtu'  di quanto disposto dall'art. 117, comma 3. Tale competenza e'
evidente  in  materie di igiene e sanita' e di urbanistica (art. 117,
comma   3);   ma   e'   esistente  anche  in  relazione  alla  tutela
dell'ambiente, valore tutelato non solo (per i profili unitari) dalla
competenza  statale esclusiva di cui all'art. 117, comma 3, lett. s),
ma  anche  dalla  competenza  regionale  in  relazione  alle  materie
incidenti  con la tutela ambientale: e' opportuno ricordare, infatti,
che - come ha chiarito la Corte costituzionale nella sent. n. 407 del
2002, punto 3.2 del Diritto - "si puo' ... ritenere che riguardo alla
protezione  dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare
la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi
regionali  diretti  a  soddisfare contestualniente, nell'ambito delle
proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere
unitario definite dallo Stato" (v. anche sent. n. 536 del 2002).
    La  regolarizzazione prevista, pero', riguarda anche gli obblighi
previsti  in materia di sicurezza sul lavoro. Anche questa materia e'
di  competenza  regionale,  sia ai sensi dell'art. 7 e ss. del d.lgs.
n. 502/1992  (la  cui disciplina e' stata tenuta ferma dall'art. 112,
comma  3, lett. l), d.lgs. n. 112/1998, come modificato dall'art. 15,
d.lgs. n. 443/1999) sia, ora, direttamente al livello costituzionale,
ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., che espressamente attribuisce
alla  competenza  concorrente  delle  regioni  la  materia  "tutela e
sicurezza del lavoro".
    A  tale  materia,  e  dunque  alla  competenza regionale, si puo'
ascrivere  anche  quella  norma  del  decreto-legge  n. 210/2002  che
prevede l'adeguamento del trattamento economico dei lavoratori.
    Se  poi  si  guarda alle nonne impugnate dal punto di vista delle
attivita'  oggetto della regolarizzazione, si puo' constatare come la
legge  parli  genericamente  di  attivita'  di  impresa: ora, poiche'
questa  comprende  l'attivita'  industriale, commerciale e agricola e
poiche'  queste tre materie ricadono ormai tutte nell'art. 117, comma
4,  Cost.,  ne  risulta  che,  da  questo  punto  di  vista, la legge
impugnata interviene in materie di piena potesta' regionale.
    Intervenendo   in  materia  regionale,  la  legislazione  statale
ordinaria deve rispettare i principi e le regole di cui all'art. 117,
e  piu'  in  generale  di  cui  al titolo V della parte seconda della
Costituzione.  Invece,  commisurata a tali parametri la disciplina di
cui  all'art. 1,  comma  2, d.l. n. 210/2002 risulta, ad avviso della
ricorrente  regione,  costituzionalmente  illegittima  per i seguenti
motivi di

                            D i r i t t o

    1.   -   Illegittimita'   costituzionale   per  violazione  delle
competenze legislative regionali.
    Un intervento statale in materia di tutela e sicurezza del lavoro
avrebbe  evidentemente  dovuto  per  prima  cosa  prendere  atto  del
mutamento costituzionale intervenuto con la legge costituzionale n. 3
del  2001,  e  provvedere  ad una disciplina statale di principio. In
secondo luogo, il legislatore statale avrebbe dovuto anche verificare
la  congruita'  dell'assetto organizzativo della materia con la nuova
situazione   costituzionale,  e  provvedere  al  trasferimento  degli
eventuali organi e apparati locali statali operanti nella materia.
    Invece,  come  sopra  illustrato, l'art. 1-bis della legge n. 383
del  2001,  come  introdotto  dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge
n. 210/2002,   non   si   occupa   affatto   della  nuova  situazione
costituzionale,  ma  disciplina  in  modo  dettagliato  una specifica
procedura di regolarizzazione che da un lato rientra di per se stessa
nella  materia  tutela  del  lavoro,  oggetto di potesta' legislativa
concorrente  della  regione,  dall'altro  ha  riferimento ad obblighi
facenti   capo   a   materie  di  competenza  regionale  concorrente,
dall'altro ancora incide su attivita' oggetto di competenza regionale
piena.
    Esso  interviene  in  modo  fortemente  derogatorio nelle diverse
materie sopra indicate, rimettendo in toto la decisione sull'avvenuto
adeguamento,  da  parte dell'imprenditore, ad obblighi facenti capo a
importanti   materie   di   competenza  regionale  (salvo  il  parere
vincolante  dei  comuni - da esprimere comunque entro trenta giorni -
in  materia  di urbanistica e di ambiente), ad un organo che non puo'
essere caratterizzato come organo regionale (su cio' v. il punto 2).
    Ora,  in  virtu' del combinato disposto dell'art. 118, comma 2, e
dell'art. 117,  commi  3  e 4 (ricordiamo che anche "nelle materie di
legislazione concorrente spetta alle regioni la potesta' legislativa,
salvo  che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla  legislazione dello Stato", e' illegittima l'allocazione diretta
di funzioni amministrative con legge statale nelle materie regionali,
e  a  maggior  ragione  la  loro  attribuzione ad un organo, il CLES,
estraneo  alla  regione,  come  costringano  a  pensare  non  solo la
provenienza  della  maggior  parte dei suoi elementi, ma anche la sua
istituzione  presso un organo statale ed il potere di nomina affidato
ad un organo statale: con la conseguenza della totale invasione delle
funzioni legislative ed amministrative regionali.
    Se poi si volesse affermare che si tratta di un organo regionale,
l'illegittimita'   risulterebbe   addirittura   aggravata,   con   la
conseguenza  comunque  della violazione della potesta' legislativa in
materia  di  organizzazione regionale, oltre che nelle materie incise
dall'intervento, e con la ulteriore assurdita' giuridica della nomina
da  parte  di  un  organo  statale  e  della  sua collocazione presso
organismi statali.
    In  secondo luogo, tale organo esautora le autorita' che, secondo
la  Costituzione  e le leggi regionali, sono competenti nelle diverse
materie  coinvolto nell'intervento. Una volta approvato (dal CLES) ed
attuato  il  piano,  infatti,  le  autorita' competenti sono tenute a
rilasciare  le  relative autorizzazioni e si produce l'estinzione non
solo  dei  reati  ma  di  tutte  le  sanzioni (v. l'art. 1-bis, legge
n. 383/2001, comma 10).
    Dunque,  la  normativa di cui all'art. 1-bis viola chiaramente le
competenze  legislative garantite alla Regione dall'art. 117, commi 3
e  4,  e  dall'art. 118,  comma  2, Cost., sia sotto il profilo della
disciplina   sostanziale  sia  sotto  quello  dell'allocazione  delle
funzioni amministrative.
    Sotto  il  primo  profilo,  la legislazione regionale e' soggetta
solo  al  limite della Costituzione e degli obblighi internazionali e
comunitari per le materie rientranti nella potesta' primaria ai sensi
dell'art. 117,  comma  4,  Cost.,  mentre  nelle  materie di potesta'
concorrente si aggiunge il limite dei principi fondamentali stabiliti
dalle leggi statali.
    Ora, anche a voler riferire la legge prevalentemente alle materie
di   potesta'   concorrente   (piu'   che  all'industria,  commercio,
agricoltura,  di  competenza  regionale  piena),  il  solo  principio
fondamentale   ricavabile  dalla  normativa  statale  e'  quello  che
consente  l'emersione  del  lavoro sommerso attraverso li progressivo
adeguamento a determinati obblighi, e tale principio vincola anche la
ricorrente regione. Per il resto, si tratta invece di disposizioni di
dettaglio,  che  rientrano  nella  sola  ed  esclusiva potesta' delle
regioni.
    E  sia  consentito  anche  di  ricordare che codesta ecc.ma Corte
costituzionale  ha  gia'  sottolineato  che  "la  nuova  formulazione
dell'art.  117,  comma 3, rispetto a quella previgente dell'art. 117,
comma  1,  esprime  l'intento  di  una  piu' netta distinzione fra la
competenza  regionale  a legiferare in queste materie e la competenza
statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina"  (sent.  n. 282  del  2002). Sotto il secondo profilo, e'
illegittima l'attribuzione di funzioni amministrative sia agli organi
statali  (al CIPE, al CLES ed al prefetto) sia ai comuni. Quanto agli
organi  statali,  l'illegittimita'  e'  in  particolare  evidente  in
relazione  a  competenze attribuite nelle materie regionali ad organi
locali.   Quanto   ai  comuni,  l'art. 117,  comma  2,  assegna  alla
competenza   statale   la   sola   determinazione   delle   "funzioni
fondamentali",  tra le quali certamente non rientra l'espressione del
parere in questione.
    Da   quanto  sopra  esposto  deriva  l'evidente  contrasto  della
normativa impugnata con la Costituzione.
    2.    -    Illegittimita'   per   violazione   delle   competenze
amministrative delle regioni.
    Come  detto, il nuovo art. l-bis legge n. 383/2001 attribuisce la
competenza  all'approvazione  del  piano  di  emersione  ad un organo
statale,  da istituire presso un ufficio statale, la cui composizione
e'  inoltre  interamente  e  dettagliatamente determinata dalla legge
statale:  cioe' al CLES, che per di piu' dovrebbe essere nominato dal
prefetto.
    Le  decisioni prese vincolano le autorita' competenti in materia,
che  devono  solo  verificare  l'avvenuta attuazione del piano (comma
10);  ma  gia'  l'istruttoria  finalizzata all'approvazione del piano
sospende le ispezioni e verifiche da parte degli organi competenti.
    Da un lato dunque vi e' addirittura esercizio diretto di funzioni
amministrative,  attraverso la nomina del CLES, e la stessa attivita'
del  CLES, dall'altro vi e' una evidente interferenza delle autorita'
statali sullo svolgimento delle funzioni amministrative di competenza
della  Regione  Umbria nelle diverse materie interessate dalla legge,
attraverso  il  vincolo  di  contento  all'esercizio  delle  funzioni
regionali, che deriverebbe dall'attivita' dello stesso CLES.
    3. - Violazione del principio di leale collaborazione per mancato
coinvolgimento    delle    autonomie   regionali   nel   procedimento
legislativo.
    A  quanto  risulta, ne' la sede di adozione del decreto-legge ne'
in  sede  di  adozione  del  disegno  di  legge  di  conversione  ne'
nell'esame  parlamentare  di tale disegno le autonomie regionali sono
state  consultate  attraverso  la  Conferenza Stato-Regioni. Poiche',
come   visto,   la  disciplina  qui  impugnata  riguarda  materie  di
competenza  regionale,  tale mancato coinvolgimento lede il principio
di  leale  collaborazione,  espressamente menzionato ora nel titolo V
della Costituzione.
    In   particolare,  risulta  violato  l'art. 2,  comma  3,  d.lgs.
n. 281/1997,  in  base  al  quale  "la  Conferenza  Stato-regioni  e'
obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e
di  decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
competenza  delle  regioni  o  delle Province autonome di Trento e di
Bolzano".  Ne'  si  puo'  obiettare  che,  nel  caso  di  specie,  la
consultazione  non  era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs.
n. 281  disciplina  espressamente  i  casi  di  urgenza:  "quando  il
Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza
non   consentono   la   consultazione   preventiva,   la   Conferenza
Stato-Regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto
dei  suoi  pareri:  a)  in  sede di esame parlamentare dei disegni di
legge  o  delle  leggi  di conversione dei decreti-legge". Dunque, la
mancata consultazione della Conferenza risulta comunque illegittima.
    Si  tenga presente, per comprendere l'importanza del principio di
leale  collaborazione  nel  nuovo Titolo V, anche il modo in cui esso
viene  concretato  dall'art. 11,  legge  costituzionale n. 3/2001. La
circostanza   che   non  sia  ancora  stata  realizzata  la  speciale
composizione   integrata   della   commissione  parlamentare  per  le
questioni  regionali  non  toglie  che il principio di partecipazione
regionale  al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie,
quando  queste  intervengono in materia di competenza concorrente, ha
ora espresso riconoscimento costituzionale.
    Del  resto,  e'  da sottolineare che codesta Corte costituzionale
gia'  nella sent. n. 398 del 1998 (punto 16 del Diritto) ha annullato
una  norma  legislativa  statale incidente sulle competenze regionali
per   mancato   coinvolgimento   delle   regioni   nel   procedimento
legislativo.